Uno degli argomenti più dibattuti negli ultimi anni riguarda l’utilizzo dell’espressione “piuttosto che”. Da una parte infatti questa formulazione è usata in senso di esclusione: ciò significa che dire “preferisco la carne piuttosto che il pesce” indica una scelta della “carne” rispetto al “pesce”. L’altro uso invece è di tipo “disgiuntivo”, per cui dire “preferisco la carne piuttosto che il pesce” significa che non c’è una preferenza tra i due oggetti considerati: in tal senso, questa espressione è spesso usata anche in serie, a mo’ di elenco tra oggetti equamente considerati. Ma sono davvero corretti entrambi gli utilizzi?
La risposta è facilmente detta: no. Tecnicamente infatti l’unico utilizzo valido di questa espressione è il primo, quello di esclusione. “Piuttosto che” significa che un oggetto è preferito rispetto ad un altro: “meglio A piuttosto che B” significa che A è ritenuto migliore di B. E solo e soltanto questo è l’utilizzo corretto, stando almeno alle regole grammaticali e lessicali della lingua italiana. Tuttavia, gli utilizzatori e i propugnatori del secondo significato sostengono che una lingua viva, parlata comunemente, non possa essere ricondotta a regole ferree, ma vada invece adeguata alla realtà, nella quale cambia e si evolve. Secondo questa teoria quindi, quell’utilizzo, in partenza sbagliato, si è ormai affermato e quindi va accettato come corretto, dovendo quindi le regole adattarsi alla lingua parlata, e non viceversa. Possiamo accettare questa obiezione?
In questo caso la risposta è meno netta. Di primo acchito verrebbe da dire no a questa ipotesi. Infatti, per esempio, seguendo tale teoria non passerebbe molto tempo prima che il congiuntivo finisca spazzato via, eliminato dalla lingua italiana a causa dello scarso utilizzo che ne fa buona parte della popolazione. O che “qual è” non sia più considerato il solo uso corretto (clicca qui per un approfondimento). E gli esempi potrebbero proseguire. Dall’altra parte però, è indubbio che c’è del vero anche nella tesi dell’evoluzione linguistica. Sembra banale, ma i cambiamenti dall’italiano ottocentesco a quello attuale sono evidenti e significativi.
D’altronde questo non è il primo caso che si verifica. Da secoli infatti la parola “ovvero” può confondere chi se la ritrova davanti. Usata comunemente come alternativa di “ossia” o “cioè”, questa parola ha un secondo significato, potendo essere usata anche nel senso di “oppure”: quest’ultimo uso è tuttora in voga in ambito giuridico. Ebbene, se questo doppio uso è rimasto intoccato da secoli allora lo stesso potrebbe accadere a “piuttosto che”! In tal caso, chi siamo noi per dirvi di scegliere tra un uso e l’altro!?