Se questo articolo non fosse stato scritto, voi non lo stareste leggendo. Lapalissiano, no? Si definisce infatti lapalissiano un ragionamento o un’affermazione le cui conclusioni appaiono immediatamente ovvie e scontate, se non addirittura ridicole per la loro ovvietà.
L’aggettivo deriva dal nome del maresciallo francese Jacques de La Palice. Egli fu comandante e morì durante l’assedio di Pavia, nel 1525, e si narra che i soldati sopravvissuti intonarono una canzone per rendere onore al suo coraggio. Pare però che gli uomini, nell’illustrare il valore militare e la prestanza dell’amato comandante, fecero una scelta infelice. Essi intendevano cantare (nel francese dell’epoca):
Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
farebbe ancora invidia.
Sfortunatamente, per assonanza e/o per l’ambiguità grafica tra s ed f (che all’epoca si scrivevano in modo simile), la strofa divenne:
Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
sarebbe ancora in vita.
Dove evidentemente l’ultima affermazione è… lapalissiana.
Un secolo dopo fu intitolata a La Palice una canzone dove lo si dileggiava come campione per antonomasia della banalità e dello scontato. Nell’800 fu poi coniato il termine lapalissade. Da allora in avanti, e per il resto della storia, il defunto maresciallo sarà ricordato soltanto per l’aggettivo a cui, suo malgrado, e a sua insaputa, diede vita.
C’era una volta un imperatore,
si chiamava Napoleone.
E quando non aveva torto,
di sicuro aveva ragione…