Rispondere ad una domanda di questo tipo non è certamente facile, da una parte per la vastità di possibili argomentazioni, dall’altra per il suo essere una tematica aperta a varie interpretazioni.
Tra le varie teorie emerse al riguardo, a nostro avviso le più significative sono quelle relative alla dimensione sociale della religione. Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach ad esempio sottolineava come le diverse comunità umane, nel corso del loro sviluppo, tendano a produrre serie di norme, valori e idee condivise, di origine sociale, ma delle quali non riescono a interpretare l’evoluzione “umana”, attribuendo quindi alla “divinità” l’origine delle stesse.
Strettamente legata alla comunità degli individui è anche l’interpretazione di Emile Durkheim, secondo cui la religione è il “culto della società stessa”, e le attività rituali che ne derivano sono la componente fondamentale. Nel corso di queste attività collettive infatti, nella comunità si realizza un rafforzamento del senso di solidarietà di gruppo, e si esercita una forte influenza collettiva sui singoli individui.
Nonostante l’irrealizzabilità degli “scopi diretti” dei rituali religiosi, ad esempio riti per la guarigione o per il buon esito dei raccolti, lo svolgimento di queste attività collettive produce degli effetti indiretti sui partecipanti, quali il rafforzamento dello spirito di comunità, e la “separazione” momentanea dalle vicissitudini terrene, portando gli individui a sentirsi in contatto con forze ed entità superiori. I sentimenti positivi che derivano da queste attività di natura sociale, vengono attribuiti invece alla divinità, rafforzando quindi il legame con la stessa e favorendo la reiterazione di tali riti, nonostante la loro scarsa utilità pratica.
In questo senso quindi, si può collegare lo sviluppo delle religioni alle logiche di comunità, i cui effetti vengono però attribuiti ad un intervento divino.